Grano saraceno
Il grano saraceno, prodotto in Garfagnana e Mugello, serve per numerose specialità alimentari quali paste secche, dolciumi, polente e alimenti per la prima colazione.
Descrizione del prodotto
Il grano saraceno (Fagopyrum esculentum Moench) appartiene alla famiglia delle poligonacee; è una pianta erbacea annuale con altezza variabile da 60 a 100 cm, con molte ramificazioni, foglie ovato-triangolari, fiori a racemi di colore bianco-rosa o rosso. Il ciclo vitale è breve (dai 60 ai 90 giorni circa) e ciò ne consente la coltivazione in seconda coltura dopo un altro cereale (frumento o segale). Il prodotto è costituito dalla granella che non è una cariosside, bensì un achenio.
Gli acheni contengono un unico seme, di dimensioni relativamente piccole (peso di 1000 semi da 20 a 33 g), di colore bruno, a sezione triangolare.
Cenni storici
Il grano saraceno, originario dell’Asia centrale, venne introdotto in Europa in seguito alle invasioni mongole (XIII secolo). Nel nostro Paese è segnalato fin dai primi anni del XVII secolo: Giovanni Guler von Weinech, governatore grigionese della Valtellina, riferisce nel 1616 della sua coltivazione nella valle dell’Adda. Anche Alessandro Manzoni nei “Promessi sposi” (ambientato nel 1628) conferma la presenza di questa specie in Lombardia ricordando la “polenta bigia di grano saraceno”. La massima diffusione della coltura in Italia si è registrata nel 1700 e nei primi decenni del 1800, in particolare nelle valli alpine del nord e nord-est durante la dominazione austriaca. Negli Appennini la coltivazione è ricordata fin dal 1621 nel Ducato di Modena e si è poi estesa fino all’Abruzzo, raggiungendo una notevole diffusione agli inizi del 1800 e protraendosi fino agli anni ’50 del secolo scorso.
Nell’area delle Alpi Apuane e dell’Appennino Tosco Emiliano, il grano saraceno viene ancora ricordato dagli anziani del posto, come un “grano nero” per ottenere un’ottima farina per la polenta insieme al granoturco e al farro. Veniva seminato in primavera, sfalciato per ottenerne foraggio e il ricaccio veniva mandato a seme, oppure era coltivato in secondo raccolto dopo orzo, segale o farro. La granella prodotta veniva macinata e mescolata alla farina di grano, farro, segale o mais per produrre pasta: tagliatelle, gnocchi e altre pietanze. La coltivazione del grano saraceno e del farro si è poi ridotta fino a scomparire per il progressivo abbandono delle zone montane, per la sostituzione con il frumento nelle moderne varietà più resistenti al freddo e per una tendenza al rifiuto di alimenti associati con l’idea di indigenza e disagio economico. Più recentemente, una maggiore attenzione alle proprietà nutrizionali e organolettiche dei cibi tradizionali ha portato alla riscoperta del farro ed ora alla possibile reintroduzione del grano saraceno, impiegato per specialità alimentari ed anche per tisane e surrogati del caffè.
Il grano saraceno è stato coltivato nelle zone montane dell’Appennino, seppure in misura più limitata rispetto ad altri cereali come frumento, granturco, orzo, segale e farro, fino all’ultimo dopoguerra, quando la disponibilità di varietà di frumento più resistenti al freddo da una parte, ed il progressivo spopolamento dall’altra, hanno determinato il totale abbandono della coltura.
Con l’avvento dell’agricoltura biologica, il grano saraceno è stato riscoperto e coltivato, anche se al momento risulta relegato su piccole superfici.
Ricette e tradizioni
Dalla macinazione della granella si ottiene una farina di colore scuro per la presenza di frammenti di pericarpo, utilizzata per numerose specialità alimentari quali paste secche, dolciumi, polente e alimenti per la prima colazione. La farina di grano saraceno è ricca di amilosio, che viene trasformato in zuccheri semplici più lentamente rispetto agli amidi ramificati, ed è pertanto indicata nell’alimentazione dei pazienti diabetici; contiene proteine di alto valore biologico, ricche di lisina e prive di glutine, adatte quindi per chi soffre di celiachia. Si caratterizza inoltre per l’elevato contenuto di rutina, un glucoside dotato della proprietà di ridurre la fragilità capillare. Tale composto è presente anche nelle foglie, che sono utilizzabili allo stato secco per infusi.
La farina può essere confezionata e venduta o utilizzata per la produzione di numerose specialità quali pasta fresca e secca (anche in miscela con farine di altri cereali), pane (in miscela con farina di frumento, non essendo possibile la panificazione diretta), polenta, crêpes, torte, dolciumi, ravioli ripieni di carne o verdure. I semi decorticati possono essere fatti fermentare per ottenerne birra o distillati.
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